Origini della caveja

2 di copertina

 

LA CAVEJA DI GHETTI: DALL'ARTIGIANATO ALL'ARTE

Prefazione del dr. Michele Leoni

Le etimologie più accreditate dei nostri termini "arte", "artigiano", richiamano due parole del greco antico, "artizo", comporre, e "Aretè". virtù.

Comporre nel significato stringente di dare forma adeguata a un'espressione, e virtù nella sua accezione più letterale di capacità individuale di operare.

Curiosamente, già alla luce di queste astrazioni troviamo nella caveja e nella sua storia un filo conduttore, una linea di continuità che sembra legare la sua primitiva origine di strumento di lavoro all'odierna riscoperta che ne ha fatto Vittorio Ghetti, l'orafo forlivese che l'ha consacrata come gioiello artistico di forte tradizione.

Nell'antica civiltà rurale, la caveja era un attrezzo "artigianale"; dava forma e funzione a varie espressioni del lavoro agricolo, ed era merito di chi la forgiava, con la sua attitudine e la sua inventiva, renderla il più possibile operativa.

Essa ha costituito forse il simbolo più eloquente del carattere e del mordente delle genti stanziali di Romagna, dell'alacrità e dell'attaccamento che esse hanno sempre riversato sulla loro terra e del credo che alla terra ha sempre vincolato in modo viscerale tante generazioni.

Vivere sul proprio suolo, investire estro e abnegazione nella sua coltivazione ed esserne ricambiati con la vita stessa. Ora, nell'epoca dell'automazione e della tecnologia che hanno superato l'ingegno e la bravura dell'operatore singolo, la caveja sopravvive, si sublima nella memoria, diviene folclore ed esempio antico, e da idea artigianale si nobilita in punto d'arte.

Vittorio Ghetti, rigorosamente romagnolo, l'ha valorizzata ed elevata a gioiello emblema, ne ha fatto il soggetto delle sue intuizioni, di innumerevoli variazioni e invenzioni, l'ha lanciata come creazione d'autore, Michail Gorbaciov e altre personalità ne sono venute in possesso quali destinatari di un dono altamente rappresentativo.

Di nuovo è un discorso di forme ed espressioni, ma non più applicate ad un mestiere.

Ora si versa nell'alta professionalità e nell'ispirazione.

La caveja oggi è un gioiello di specie rara. Non obbedisce a esigense moderniste di mere fogge nuove o di usanze correnti, ma affonda il suo significato e la sua ragion d'essere in precisi valori storico-culturali e li contraddistingue. Abbiamo parlato di arte e di etimologie.

Nell'antica lingua veneta e istriana, contigua agli idiomi di Romagna e di comune matrice adriatica, il termine "arte risale a "le arte", arnesi, strumenti. Come la caveja. Singolare una volta di più.

Michele Leoni



Lo scopo di questa descrizione vuole essere quello di introdurre ad una conoscenza della caveja romagnola e divulgare l'amore per questo simbolo della terra di Romagna; musica di tempi lontani, ormai rari cimeli di orgoglio e di gloria, ora riposti e gelosamente custoditi.

ORIGINI DELLA CAVEJA

La caveja è uno strumento agricolo di origini molto antiche.

Una prima antenata della nostra caveja potrebbe essere quella innestata sul timone di un carro babilonese, ritrovata negli scavi di Kisck (Mesopotamia), risalente a circa 5400 anni fà e ora conservata al "FIELD MUSEUM" di Chicago.

In Romagna potrebbe essere arrivata al seguito di un legionario romano al quale era stato assegnato un "decumano", uno dei tanti scacchieri di terra con lato di 1410 metri, concessi dall'Impero in ricompensa dei servigi militari (diverse di queste suddivisioni sono visibile ancora oggi in ampie pianure della Romagna).

Probabilmente il soldato, improvvisato contadino, pensò bene di utilizzare l'insegna "ricordo della sua Legione" come fermo per il timone del carro dei buoi.

Successivamente l'insegna si trasformò in piatto con simboli agresti o con gli stemmi del casato o del feudo.

UTILIZZO DELLA CAVEJA

La caveja veniva utilizzata innestandola sul timone del carro/plaustro, in contrapposizione al giogo, per evitare che in caso di frenata o di ripida discesa il plaustro investisse i buoi che lo trainavano.

Veniva montata nella parte anteriore del timone, mentre nella parte posteriore veniva montata la caveja corta (cuneo/cavicchio di legno, raramente di ferro ).

Compito della caveja corta era quello di rendere solidale il timone del plaustro al giogo e sopportare lo sforzo di trazione sviluppato dai buoi aggiogati.

Un'altro impiego della caveja era quello di servire da leva per azionare l'argano , posto nella parte posteriore del plaustro , per tendere le funi che fissavano il carico.

Può essere curioso ricordare che se il tiro era a due (due buoi) e le anelle suonavano zoppe, a seconda che questa distonia fosse causate dalle anelle di destra o di sinistra, il contadino individuava immediatamente il bue "lavativo" che necessitava di essere pungolato.

Durante la notte, dal tintinnio più o meno intenso delle anelle, i guidatori dei plaustri capivano se il traino che stavano per incrociare o sorpassare era lento oppure veloce.

Essendo il suono diverso in ogni caveja , i contadini riconoscevano dal suono, pur senza vederlo, il plaustro del compaesano che transitava per la via.

La caveja veniva usata anche per riti propiziatori o divinatori. Per conoscere il sesso del nascituro, si faceva sedere la futura madre al centro della stanza. L'azdora (reggitrice di casa) toglieva dalla madia la caveja e con questa faceva il segno della croce. Si procedeva quindi al rito vero e proprio, facendo tre giri con la caveja attorno al ventre della partoriente. Si poneva poi la caveja ritta su di un piedistallo, si accendeva una candela alle spalle della donna e si attendeva la risposta. Se erano le anelle di sinistra a fermasi per prime era un maschio, se quelle di destra era una femmina. Nel caso si fossero fermate contemporaneamente (caso assai raro) si presagiva un aborto.

Per predire il tempo la caveja veniva portata di sera sull'aia e fatta suonare. A seconda del suono emesso e della intensità a cui questo era udibile in distanza, se ne traevano auspici per il giorno successivo. Ovviamente era occasione di gioco atteso e desiderato dai ragazzini che avevano così la possibilità di schiamazzare scorazzando per l'aia e per i campi, ritardando l'ora di andare a letto.

Altro rito era la preveggenza matrimoniale. Se in una famiglia erano presenti due o più ragazze da marito, utilizzando la caveja si cercava di prevedere quale per prima si sarebbe maritata. Siccome i matrimoni, per usanza e tradizione dovevano avvenire rigorosamente in ordine di anzianità, questo rito non era gradito alle sorelle minori che, avendo il moroso segreto, temevano di essere scoperte. In effetti questo rito tendeva a scoraggiare gli amori giovanili segreti.

Agli sposi di agiate famiglie veniva regalata una caveja a scopo propiziatorio. La sposa entrando per la prima volta in casa doveva baciarne le anelle per ottenere fecondità.

Altra tradizione tipicamente romagnola era quella della Settimana Santa. Il Giovedì Santo le anelle delle caveje venivano avvolte nella stoppa (legate) per poi essere slegate la mattina del Sabato Santo mentre i componenti della famiglia si bagnavano gli occhi con l'acqua benedetta, procurata dalle donne di casa presso la più vicina chiesa.

Da quanto sopra si può capire quanto la caveja fosse parte integrante della vita e della cultura contadina; nelle tradizioni e nelle supertizioni, tanto da sfociare, in alcuni casi, in idolatria pagana.

COSTRUZIONE DELLE CAVEJE

I fabbri della Romagna gareggiavano tra loro nella costruzione delle caveje. Si trattava infatti di modellarle sull'incudine, secondo la fantasia di ognuno o secondo il lavoro cui erano destinate.

Frequente era il caso di nobili committenti che se le facevano costruire con l'araldico stemma di casato. Di questi maestri del ferro alcuni sono diventati famosi, altri del tutto dimenticati nel tempo. Il compito più difficile era quello di renderla più armoniosa possibile; infatti le sue anelle urtando contro lo stelo, emettevano un suono argentino che accompagnava il passo dei buoi.

L'artigiano forgiava la caveja battendo il ferro a caldo sull'incudine.

Nel sud della Romagna i fabbri tentarono di risolvere il problema della sonorità delle anelle aggiungendo all'acciaio delle striscie d'argento, raggiunsero così dei buoni risultati ma non del tutto soddisfacenti.

Fu verso la metà del XVII secolo che un fabbro ravennate scoprì che le anelle costruite con ferri da cavallo usati o pianelle per bovini avevano un suono più dolce e squillante di quelle costruite con ferro e argento. Da quel momento le anelle vennero costruite con ferri da cavallo e pianelle per bovini.

All'incirca dal 1750, i grandi proprietari terrieri, per distinguere le loro caveje da quelle più povere dei contadini iniziarono a commissionarle con verghe-anello di bronzo sullo stelo e impreziosite da incisioni a bulino e raffigurazioni a cesello: tralci di vite, spighe di grano, grappoli d'uva ecc.

La caveja "bella" con le anelle, quella da festa e da fiera, era uno status-symbol.

Solamente il 40% delle famiglie la possedevano, mentre il rimanente 60% possedeva caveje povere, semplici steli con un foro sulla cima ed un anello.

Questo dipendeva dal fatto che le caveje erano costosissime.

Per comprendere l'alto costo delle caveje si deve innanzitutto pensare che esse non venivano fatte in serie, e che un bravo artigiano impiegava circa trenta-quaranta giorni per costruirne una.

Anche se si possedeva quella bella, per i lavori dei campi si usava la caveja più semplice, conservando la prima (avvolta in un telo di lino grezzo) dentro la madia, in mezzo al frumento, (perchè si mantenesse lucida) per le feste e le fiere.

FORMA DIMENSIONI E LETTURA DELLE CAVEJE

La caveja è composta dalla pagella, lo stelo, le anelle ed eventuali fiocchi colorati detti fiocchi cardinalizi.

La PAGELLA è la parte superiore, espansa e appiattita, variamente traforata e comprende i fori per le anelle. Le sue dimensioni sono generalmente iscritte in un quadrato di 20 cm di lato. Sulla cimasa (la parte superiore della pagella) sono a volte applicati dei pomelli rotondi o ghiandiformi di bronzo o dello stesso acciaio. I profili della pagella possono avere una simbologia che integra quella riportata sulla pagella stessa.

A proposito di simbologie particolari, vorrei ricordare una singolare caveja, "la caveja dipinta". Di questa caveja sembra ne fossero state fatte diversi esemplari dai fratelli Orselli, fabbri in San Pancrazio. Alcune di queste furono consegnate a Maddalena Venturi, abile decoratrice di plaustri in Granarolo, affinchè fossero dipinte. Il prezzo richiesto a fine lavoro non fù di gradimento degli Orselli (8 scudi prendeva per dipingere un plaustro, 3 scudi chiedeva per una caveja)  che ruppero il contratto. Così che di caveje dipinte dei fratelli Orselli ne furono messe in circolazione veramente poche. Se esse erano una rarità allora, figuriamoci oggi.

Lo STELO è una barra di acciaio a sezione tonda o quadrata, a volte anche ottagonale. Misura 50/70 cm di lunghezza. La parte inferiore per circa 10 cm è a forma tronco-conica (da questo particolare deriva la traduzione dialettale cavicchio/caveja) che si inserisce in un apposito foro praticato sul timone del carro. Lo stelo può essere variamente decorato e vi si possono trovare applicate delle verghe-anello di bronzo, più comunemente di ferro bronzato. E' unito alla pagella tramite saldatura.

Le ANELLE costruite con barra tonda o quadrata , hanno in comune il fatto di non essere saldate, per non smorzarne la sonorità. Sonorità che viene mantenuta anche applicando dei piccoli pezzi di pelle o cuoio morbido in modo da coprire la semicirconferenza inferiore dei fori praticati sulla pagella. In campagna nulla si buttava ed un pezzo di tomaia di una vecchia scarpa serviva egregiamente allo scopo.

A volte le anelle hanno la forma di mordacchia. Il loro numero varia da una, due, quattro, fino ad un massimo di sei. Più numerose erano le anelle, più ricca e prestigiosa era la caveja; ovviamente anche più costosa. 

FIOCCHI colorati erano applicati in fori predisposti ai lati della pagella. Hanno colori corrispondenti alla zona di provenienza dei proprietari.  Sono sempre in numero pari, due o quattro.

 Riporto alcuni degli accostamenti di colori dei fiocchi delle caveje:

- comune di Forlì               = bianco-rosso

- comune di cesena           = bianco-nero

- comune di Ravenna        = giallo-rosso

- comune di Faenza          = bianco-celeste

- comune di Lugo              = rosso-verde

- comune di Bertinoro      = blu-rosso

- comune di Predappio     = bianco -azzurro

Ogni caveja ha nella pagella la sua chiave di lettura ricavata dai simboli incisi, cesellati, traforati e dalla forma della pagella stessa:

- il cuore                            = amore

- covoni di grano               = abbondanza di raccolti

- spiga di grano                 = prosperità

- grappoli d'uva                = prosperità

- tralci di vite                   = prosperità

- corna di toro                 = ricchezza

Non mancano i simboli astrali: il sole, la luna, le stelle, sempre in chiave propiziatoria.

Tra le raffigurazioni animali: Il "pavone", simbolo di resurrezione, poichè le carni di questo animale erano anticamente considerate incorruttibili;

la "colomba", simbolo cristiano significante pace, candore;

il "gallo", simbolo di vitalità, fierezza, dominio.

Molto frequentemente ricorre il simbolo cristiano della croce.

VARIE DENOMINAZIONI DELLA CAVEJA

Nel nord della romagna, nelle zone di Imola, Castel San Pietro, e ai confini con Bologna e Ferrara, la caveja viene detta "stadùra", parola in relazione al verbo "stare" inteso nel senso di "arrestare"-fermare", cioè fermare il giogo al timone del carro dei buoi.

Nelle campagne intorno a Faenza e a Lugo è detta caveja campanèra.

Nel forlivese e nel ravennate viene chiamata caveja cantarèna per il suono squillante delle sue anelle. Nel sud della Romagna è detta caveja longa dai anell per non confonderla con il cavej utilizzato solo per il biroccio.

LA CAVEJA OGGI

Intorno al 1930 ebbe inizio la decadenza della caveja in quanto alcune fonderia iniziarono a produrle in serie per fusione.

Sono di quell'epoca numerose caveje recanti simboli di regime. Le vicende belliche portarono alla fusione di numerose caveje, trasformate in armi da guerra (1935-1936). Con la seconda guerra mondiale altre ancora andarono distrutte, asportate o comunque disperse. Fu così ulteriormente depauperato un patrimonio artistico di inestimabile valore storico.

Nel XX secolo, con l'avvento della tecnologia, la caveja ha assunto il ruolo che giustamente le compete di "regina della cultura contadina delle genti di Romagna".

Aldo Spallicci, genuina ed autentica voce della Romagna è il poeta dialettale che ha composto il maggior numero di poesie e nel più lungo arco di tempo (1909-1973), Allorchè fondò la rivista quindicinale "IL PLAUSTRO" (1912) attribuì alla caveja il significato simbolico della Romagna. Di Aldo Spallicci è la poesia "La caveja dagli anell".

LA CAVEJA DAGLI ANELL

Dretta, pianteda avanti sora e' tmon

us d'una torza a vent elta int al man,

La caveja la canta e la fa bon

cme un campanil che sliga al su campan.


E int agli anell l'è tota la passion

d'una canta cl'la mor tra un viol 'd luntan,

l'ha e' trell dl'alodla, e' stridar de' rundon

e tot al nòstar vos ch'al  condla e' gran.


Agli anlini agli ha un son che pe d'arzent

cme e' sgrigne d'un babin ch' le sempr' in mossa

ch' l'ha al ganass ch' al fa i bus, bianch int i dent.


J anlun vosa da babb, vuslona grossa

ch'la vrebb l'essar cativa e la iè amiga:

ech la musica bona dla fadiga.


TRADUZIONE: la caviglia dalle anelle

Dritta, piantata avanti sopra il timone all'uso di una torcia a vento alta nella mano, la caviglia canta e fa buono come un campanile che sleghi le sue campane. E nelle anelle è tutta la passione di un canto che muore tra un viottolo lontano, ha il trillo dell'allodola, lo stridere del rondone e tutte le nostre voci che cullano il grano. Le anelline hanno un suono che sembra d'argento come il ridere di un bimbo che si muove sempre, con le guance che fanno le fossette e i denti bianchi. Le anellone voce da babbo, vociona grossa che vorrebbe essere cattiva ed invece è amica: ecco la musica buona della fatica. 

NOTA LESSICALE (a beneficio dei non indigeni): in dialetto romagnolo la "J" si pronuncia "i". Caveja si pronuncia caveia e non cavegia.



 

Nel libro sono inoltre riportate le quattro foto sottostanti , che illustrano alcune caveje realizzate in oro e in argento.

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Avvertenza: Ciò che è stato scritto nel libro , riguardo all'uso  della caveja  quale oggetto divinatorio, propiziatorio o di gioco, non è certamente esaustivo. Aneddoti, racconti e leggende verranno pubblicati cammin facendo. Se vi farà piacere percorriamo insieme questo tratto di storia della nostra  Romagna. In  qualche pagina del sito  compare "Inserisci un commento" dove potrete postare (gergo informatico) è più bello scrivar  (scrivere) un vostro commento sul tema trattato(nel box che compare nella casella "Homepage" dovrete copincollare l'indirizzo Url della pagina che state visionando, diversamente comparirà un avviso di errore). Grazie della compagnia e un  saluto a voi tutti "Av salut".

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